ATTIVISTI DI CiLLSA ALLA RICERCA DI SOLUZIONI ALL'INQUINAMENTO DA PFAS

 

COSA FARE QUANDO SI VIVE IN UN'AREA CONTAMINATA DA PFAS? 

    Donata Albiero e Giovanni Fazio nello studio della loro casa. I due attivisti sono moglie e marito.      
    Arzignano (Vicenza), settembre 2024.

Un articolo scritto da Anna Violato (fotografie di Alessandro Mazza ) , in RADAR MAGAZINE il 12 novembre 2024 , mette in luvce tale aspetto.

Riportiamo qui sotto gli stralci riguardanti gli attivisti di CiLLSA  

(…) La vita di chi è costretto a convivere con i PFAS è una serie continua di accorgimenti e di tentativi di mitigare il problema. Ma quello dei PFAS è un problema invisibile: senza una raccolta di un campione e la sua analisi in laboratorio, è impossibile sapere se l’acqua, il cibo o il nostro sangue sono contaminati. «Per i comuni cittadini, risulta infattibile stabilire di trovarsi in una condizione di esposizione», scrive lo psicologo Adriano Zamperini nel suo libro Violenza invisibile. Anatomia dei disastri ambientali. Le conseguenze psicologiche ed emotive della contaminazione ambientale invisibile sono profonde: una «prolungata esperienza angosciante» che può disgregare i rapporti personali e sociali. 

 PFAS, SOLUZIONI PER UN PROBLEMA INVISIBILE

Circondate da un problema invisibile, le persone che vivono nelle zone colpite tentano di superare il senso di impotenza in modi diversi: alcune, come Donata Albiero, cercando da un lato di esercitare un controllo continuo su quello che mangia e beve, e dall’altro di stimolare in altre persone l’azione contro i PFAS. 

Albiero, oggi in pensione, ha lavorato per quarant’anni nelle scuole, prima come insegnante e poi come preside, ed è sempre stata attiva nei movimenti ambientalisti. Vive assieme al marito Giovanni Fazio ad Arzignano, a poco più di sei chilometri dallo stabilimento della Miteni. «Quando la Regione ha fissato i criteri delle zone inquinate, con i colori, abbiamo scoperto che Arzignano non rientrava nelle zone a rischio. Il che ci ha insospettito, perché siamo vicino a Trissino». Il non essere in zona rossa o arancione significava anche essere esclusi dagli screening per la presenza di PFAS nel sangue.

 «Nel 2016 ho fatto delle analisi, privatamente. Scoprire di avere PFAS nel sangue mi ha attivata con più indignazione. Ho pensato: se io ho questi livelli, come stanno i miei concittadini?».

Per reagire alla situazione, Albiero racconta di aver cercato «una modalità più rigorosa di vita. Ho cercato il più possibile di curare la mia alimentazione, per esempio scegliendo solo cibo biologico perché mi preserva da quei pesticidi che contengono PFAS». Ha eliminato dalla sua dieta alcuni cibi, come le vongole, particolarmente a rischio di accumulare sostanze inquinanti. E sceglie frutta e verdura prodotte lontane dalle zone più inquinate della regione. «Per bere, compriamo acqua in bottiglia di vetro che viene da una fonte a più di 1500 metri di altitudine, in montagna, in una zona priva di industrie», racconta Donata Albiero.

Albiero e il marito prendono invece l’acqua per cucinare dalle casette dell’acqua che il gestore locale delle acque, Acque del Chiampo, ha installato in paese. Per la coppia, è stata una vittoria personale: con la loro associazione ambientalista, CiLLSA, hanno fatto a lungo pressione per ottenere i punti di ritiro di acqua pulita. Ogni casetta è dotata di filtri a carbone e di un display che mostra i dati sulla presenza di PFAS nell’acqua (che deve essere pari a zero).

 

Una cassa di bottiglie d’acqua nella dispensa della cucina di Donata Albiero e Giovanni Fazio. Arzignano (Vicenza), settembre 2024.






 UNA DIETA SENZA PFAS

«Tutt’ora, a dieci anni dalla contaminazione, non esiste nessuna possibilità di fare una dieta sicuramente esente da PFAS», spiega Giovanni Fazio, che fa parte dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE). «Se oggi una donna in gravidanza, che sappiamo essere la categoria di persone che corrono maggiori rischi, volesse fare prevenzione alimentare, non potrebbe. Nessun cibo è segnalato come PFAS free: questo è il problema su cui assieme a un gruppo di esperti stiamo preparando un testo di legge di iniziativa popolare».

Nel 2022, la Regione Veneto ha approvato un accordo di collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità per svolgere dei monitoraggi sulla presenza di PFAS negli alimenti prodotti dalle aziende agricole nelle zone colpite dall’inquinamento della Miteni, dopo anni di richieste da parte degli attivisti. Grazie a una richiesta di informazioni inviata da Marzia Albiero, attivista contro i PFAS e direttrice della Rete Gruppi Acquisto Solidale di Vicenza, sappiamo che al momento è in corso il monitoraggio della presenza di PFAS negli alimenti di origine vegetale (cereali, frutta e ortaggi). I risultati di un primo studio sulla presenza di PFAS negli alimenti, basato su dati 2016-2017, avevano trovato che anche solo l’esposizione alimentare media della popolazione generale residente in aree non contaminate supera la dose settimanale tollerabile di PFAS (che nel 2020 è stata definita dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare in 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana).

Nel frattempo, Donata Albiero e l’associazione CiLLSA hanno lavorato a un “manuale di difesa quotidiana contro i PFAS”, un prontuario che raccoglie informazioni sui prodotti e i processi industriali che impiegano queste sostanze, dai tessuti alle vernici agli imballaggi, comprese liste che individuano le aziende che si impegnano a non farne uso.

 

Casetta dell’acqua che eroga acqua filtrata e monitora la presenza di PFAS. Arzignano (Vicenza), settembre 2024.

Offriamo  a chi voglia approfondire il link dell'articolo completo 

https://www.radarmagazine.net/a-vicenza-gli-abitanti-cercano-soluzioni-inquinamento-da-pfas/?fbclid=IwY2xjawGhsK1leHRuA2FlbQIxMAABHeIyNoTrtD9TJ_mjB3u


Redazione CiLLSA 

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