UN PRIMO MAGGIO CHE SEGNI L’INIZIO DI UNA SVOLTA EPOCALE

 



PER IL LAVORO LIBERATO DALLA MERCIFICAZIONE 

CONTRO LA GLOBALIZZAZIONE DELLA MISERIA E PER L’USCITA DAL DOMINO DEL NEOLIBERISMO.

  

Una questione di fondo: “la dignità del lavoratore e cioè, in definitiva, la dignità della persona, è il perno sul quale ruota tutta la costruzione del nostro Stato sociale. Questo si comprende chiaramente dalla lettura dell’articolo 3 della Costituzione, nella declinazione del principio di uguaglianza sia in senso formale, che sostanziale. Perché la dignità non è solamente il postulato da cui discende quel principio personalista che informa il nostro ordinamento, ma essa ha anche una dimensione sociale, di elezione”(Elena D’Orlando). 

Quando Thatcher e Reagan salirono al potere, alla fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, si inaugurò l’era di un nuovo liberismo economico, dei mercati finanziari senza controllo, della globalizzazione e dello smantellamento dello stato sociale.

In sintonia con la nuova tendenza del capitalismo, il 19 luglio di ventisette anni fa entrava in vigore la legge 24 giugno 1997, n. 196, meglio nota come «legge Treu»,  contenente norme in materia di “promozione” della occupazione.

 In realtà proprio da questa legge incomincia, non tanto la promozione ma la demolizione della figura del lavoratore con  la destrutturazione di quel principio di dignità e di uguaglianza citati.

 



Solo pochi anni dopo la sua entrata in vigore questa legge veniva infatti ampiamente assorbita (e in parte abrogata, come nel caso del lavoro interinale) dalla «legge Biagi» e, a seguire, dalla continua riscrittura, come si trattasse di una tela di Penelope, attraverso numerosi e ulteriori interventi legislativi approvati da Governi di vario colore e impostazione fino al Job act di Renzi.

Si apriva così un percorso governato dalla nuova visione neoliberista di trasformazione del lavoro in merce e di spersonificazione della figura del lavoratore che viene asetticamente scisso dalla sua opera e dalla azienda in cu questa viene eseguita.

Le esigenze della mobilità e flessibilità collidevano però con il bisogno di fondare una famiglia stabile, di preservare il legame con la patria e di restare radicati al proprio paese.

Figlie della globalizzazione sono le delocalizzazioni delle aziende europee e in particolare italiane che si trasferiscono dove il lavoro non ha diritti, dove viene barbaramente sfruttato il lavoro minorile, mettendo così in concorrenza un paese civile con stati dove lo sfruttamento dei lavoratori è norma feroce.

         

 


   Ipocritamente i vari governi succedutisi parlano di costo del lavoro che inciderebbe

 sulla concorrenza delle nostre merci.  In realtà tutti i nostri grandi marchi hanno aperto

 le proprie aziende nei paesi del terzo mondo e di italiano conservano solo il marchio.

Stando così le cose e considerando la destrutturazione del lavoro anche in Italia, i lavoratori si trovano a combattere una guerra impossibile contro un sistema che sfrutta il lavoro a livello mondiale che consente alle grandi marche di spostare i propri capitali dove possono trarre maggiori profitti. 

La forza derivata da questo tipo di economia consente ai capitalisti di abbattere anche il salario indiretto cioè il Welfare. Ciò non riguarda solo gli operai ma investe la qualità della vita dei ceti medi con lavoro dipendente e quelli con lavoro autonomo senza coperture assicurative.

  L’impoverimento della società è certificato dai dati ISTAT:

  Oltre 5,7 milioni di persone in povertà assoluta in Italia. Persone che faticano o non riescono ad acquistare beni e servizi essenziali. Adulti, anziani e tanti minori, tra i più colpiti: gli under-18 costretti a vivere in questa condizione sono 1,3 milioni. Una condizione che nel complesso riguarda più di 2,2 milioni di famiglie nel Paese, di più al Sud.

 I dati sono allarmanti,  tanto più se si guarda ai minori: per loro l'incidenza di povertà assoluta sale al 14%, il valore più alto della serie storica dal 2014.

I giovani laureati appartenenti al ceto medio sono colpiti da questo processo economico. Sono testimoni di ciò i giovani senza lavoro, con scarse prospettive di impiego, tra l’altro, con retribuzioni vergognosamente basse. L’ascensore sociale non esiste più e lo spettro della disoccupazione aleggia su tutto il paese.

L’intera economia del paese è stagnante, con numeri del PIL che assomigliano a prefissi telefonici, affossata da un debito pubblico mostruoso e interessi miliardari da versare agli strozzini della finanza internazionale.

 Gli unici che  traggono enormi profitti da questa situazione sono gli azionisti delle grandi società, delle fabbriche di armi, alimentate dalle guerre, delle grandi compagnie nazionali e multinazionali.

La crisi della sanità non è un fenomeno naturale ma il frutto di una precisa strategia, agevolata da tutti i governi di destra e di sinistra che si sono succeduti fino ad ora, che mira alla privatizzazione di tutto, anche di alcuni settori dell’amministrazione statale, lasciata senza personale dal blocco delle assunzioni ovvero del “turn over”.

Siamo tutti caduti in una trappola dalla quale non è possibile uscire se non si saldano gli interessi della grande parte dei lavoratori a basso stipendio, appartenenti alla classe media, con quelli degli operai delle fabbriche rimaste.

L’obiettivo è il cambiamento delle regole generali che hanno determinato il disastro.

La società civile non può più accettare di rimanere ostaggio del mercato.

Il problema è profondamente sentito in tutto il mondo e nuove strategie si approntano per il superamento di un sistema insostenibile che, oltre a distruggere i presupposti umanitari della società civile, sta affondando le stesse basi della vita nel pianeta.

 

Giovanni Fazio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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