I “RISCHI SANITARI” DELLO SVILUPPO CAPITALISTICO.
IL CONSUMISMO DI MASSA E' LA NUOVA PANDEMIA
Non è semplice parlare di “salute” ad un uditorio di milioni di consumatori bombardati e lusingati da “bisogni indotti” e dal linguaggio suadente della “pubblicità”, anche se dovrebbero bastare gli articoli 9 (tutela dell’ambiente) e 32 (la salute è un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività) della Costituzione o la definizione che da l’OMS della “salute” come non solo “assenza di malattia” ma “benessere psico-fisico” del singolo e della comunità. Il “consumismo di massa” è la nuova pandemia che sta condizionando stili di vita, mettendo a rischio la salute di milioni di persone (oltre che la sopravvivenza del pianeta) e favorendo un consumo illimitato di risorse naturali.
Ci sono tre notizie che
rafforzano l’idea di quel “progresso scorsoio” di cui scriveva Andrea Zanzotto
e che destano preoccupazione in coloro che hanno a cuore la tutela della
“salute pubblica”.
La prima notizia riguarda l’Antitrust,
garante del “libero mercato”, che, improvvisatosi organo politico,
chiede al governo l’innalzamento dei limiti soglia dei valori di esposizione
elettromagnetici del “5G” da 6 volt su metro (V/m) a 61 V/m allo
scopo di favorire gli investimenti (e i profitti) delle multinazionali delle
telecomunicazioni.
La seconda notizia riguarda il “glifosato”, classificato nel 2015 dall’OMS come “probabilmente cancerogeno” e di cui si era in attesa della definitiva “messa al bando”, che viene risuscitato dall’Efsa “l’Autorità europea per la sicurezza alimentare”, la quale non vede più criticità nel suo utilizzo come erbicida.
La terza notizia riguarda il
grado di diffusione dei Pfas presenti nelle acque superficiali e
sotterranee, nel suolo, nelle piante, nel cibo e in numerosissimi beni di largo
consumo e all’interno di moltissimi processi produttivi.
Davanti
a queste notizie è necessario uno sforzo della politica e della collettività
per comprendere se il peso delle “interazioni” fra diverse sorgenti inquinanti
che si propagano nell’etere, nell’aria, nel cibo, nell’acqua possono impattare
sulle “aspettative di vista sana” delle persone, dei bambini, degli
agricoltori, sulla salute e fertilità della terra, sugli animali, sugli insetti
impollinatori, sulle api.
Guardando
al “passato” si tratta di capire se la storia epidemiologica delle malattie ci
abbia insegnato qualcosa sugli effetti nel lungo periodo
dell’esposizione/assunzione di agenti inquinanti. Gli studi scientifici
(specialmente se finanziati dalle multinazionali delle comunicazioni
per gli effetti del 5G e dalle multinazionali della chimica di sintesi
per gli effetti del glifosato) non sono in grado di prevedere il
“periodo di latenza di una malattia”, ossia il tempo che intercorre fra la
presenza della malattia nell'organismo e le sue manifestazioni cliniche. Pensiamo
all’amianto che prima di essere bandito è stato prodotto e usato per un
secolo, dal 1890 al 1990, producendo solo in Italia più di 2000 morti
all'anno. Pensiamo alla mancanza di evidenze scientifiche sulla
pericolosità dei Pfas al momento in cui ne è stata autorizzata la produzione
(MITENI) con il risultato che oggi ci sono 350.000 veneti che quei Pfas li
potrebbero avere nel sangue.
Proprio
perché la storia, anche quella epidemiologica, ci suggerisce un approccio
diverso, un approccio più umano ed ecologico alle esigenze dell'economia,
dobbiamo guardare al futuro con il “principio della cautela”. Principi
di natura cautelativa diventano obblighi morali ancora più stringenti se
pensiamo alla complessità e molteplicità dei processi produttivi in cui
si fa uso di sostanze e principi attivi di cui non si conosce la pericolosità
perché non testata a lungo termine o, se anche la si conosce, si ritiene di
misurarne la tossicità fissando un singolo valore soglia che non comprende
“l’effetto dell'interazione” sulla salute delle persone e dell’ambiente di
quella sostanza o di quel principio attivo con altre sostanze o altri
principi attivi.
“Se una sostanza è interferente endocrina o
cancerogena, di per sé, il fatto di trovare la molecola al di sotto dei limiti
massimi, quando è in associazione con altre molecole, non dà garanzia di
sicurezza e salubrità”.(Celestino
Panizza, dell’Associazione medici per l’ambiente, Isde Italia).
Dobbiamo
immaginare, per fare un esempio, un territorio dove si usi il “glifosato” come
erbicida, si faccia largo uso di “pesticidi” nelle coltivazioni e nelle acque
sotterranee ci sia la presenza di “pfas” e provare a pensare all’effetto
“combinato” di tutti questi agenti inquinanti che magari si potrebbero
sommare, in quella porzione di territorio, ad una rete diffusa di
antenne per il 5G.
Si deve decidere se
assecondare acriticamente le esigenze del Pil o agire in modo cautelativo per
la tutela della salute pubblica: se debba prevalere il “principio di
prevaricazione” (il “principio del profitto”) sul “principio di precauzione”
(il “principio del buon senso”).
In
tal senso è illuminante la recente sentenza del Consiglio di Stato del 31
maggio 2023. Secondo il massimo organo di giustizia amministrativa l’intervento
preventivo non può attendere l'inconfutabile prova scientifica degli
effetti dannosi, ma “deve essere predisposto sulla base di attendibili
valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base
delle conoscenze scientifiche e tecniche attualmente e progressivamente
disponibili e pertanto al concetto di precauzione è connaturata una intrinseca
funzione di anticipazione della soglia di intervento dell'azione preventiva e
trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti
ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica
circa le sue cause o i suoi effetti”. Sempre il Consiglio di Stato,
proprio in base al principio di precauzione “riconosce all’Amministrazione
pubblica il potere di adottare ogni provvedimento ritenuto idoneo a prevenire
rischi anche solo potenziali alla salute”.
Vanno cercate in nome del
“principio di precauzione” e degli articoli 9 e 32 della Costituzione modifiche
e talvolta anche limitazioni al nostro modo di produrre, di fare economia, di
consumare.
Per i Pfas, ad esempio, oltre a una
normativa che ne regoli l’intero gruppo (i Pfas hanno superato le 4700 diverse
molecole) e all’eventuale rinuncia a dei beni di consumo che li contengono, va
promossa la ricerca di materiali sostitutivi, forse meno efficaci, ma privi di
controindicazioni per la salute.
Anche
la messa al bando del “glisofato” e dei “prodotti fitosanitari di
origine chimica” è praticabile “riconvertendo” le monocolture intensive e
facendo spazio ad un'agricoltura biologica (e fermando il consumo
cementificatore di suolo agricolo) per poter così praticare la
“diversificazione” e la “rotazione” delle colture aumentando la fertilità dei
terreni già gravemente compromessa dall'uso intensivo della chimica.
Possiamo benissimo fare a meno
anche del 5G per quanto riguarda le “connessioni internet”. Il 5G è un
“bisogno indotto” dalle multinazionali delle comunicazioni e dalle loro
milionarie campagne di “disinformazione multimediali”.
Forse
non siamo stati sufficientemente connessi con la “fibra” e il “4G” durante la
pandemia? Vanno mantenuti a 6 volt su metro (V/m) i limiti soglia dei valori di
esposizione ai campi elettromagnetici anche perché, secondo l’Agcom, una
consolidata e diffusa infrastruttura di rete del 5G, in contesti urbanizzati,
può portare ad una densità di circa un milione di dispositivi connessi per
chilometro quadrato.
Se accettiamo di vivere dentro
una “bolla consumistica”, senza cercare di comprendere le fregature che
si nascondono dietro il linguaggio della pubblicità e del marketing,
esponiamo il nostro futuro e quello dei nostri figli a quelle sensazioni di
“vulnerabilità” e di “incertezza” che già si sono insinuate, grazie al virus,
fin nel nostro inconscio e ben sintetizzate da Zygmunt Bauman nel paradigma
della “tripla contraddizione che avvolge la solitudine dell’uomo globale:
“la sicurezza insicura, la certezza incerta, la rischiosa incolumità”.
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