PFAS: PREVENZIONE NEGATA IN VENETO

 


Giovedì 21 aprile 2022, presso il tribunale di Vicenza, si è svolta un’altra udienza del “processo Miteni” durante la quale la dottoressa Francesca Russo, Direttore Prevenzione, sicurezza alimentare, veterinaria della Regione Veneto, ha confermato quello che già purtroppo sapevamo.

Tuttavia non ha risposto alle domande che, come semplici cittadini, le abbiamo posto in questo stesso post il 21 marzo c.a.

 Pertanto, le riproponiamo sperando che contribuiscano a rispondere all'appello apparso sul recente comunicato delle mamme no pfas. 

 “Stiamo lasciando ai nostri figli un'eredità tossica che non avremmo certo voluto lasciare. Qualcuno è responsabile di questo e il processo al quale stiamo dando il nostro contributo ha proprio lo scopo di accertare chi dovrà essere condannato per questo, perché quello che sta succedendo qui nel Veneto non si ripeta in altre popolazioni. " 

         Sono trascorsi più di otto anni dal lontano 2013, data in cui si 

scoperse che Miteni aveva provocato nel Veneto il più grande 

inquinamento da PFAS mai avvenuto al mondo, con la contaminazione di 

più di 350.000 persone e di una delle più grandi falde acquifere di Europa 

con una quantità di acqua paragonabile a quella contenuta nel lago di 

Garda, resa ormai inutilizzabile per i prossimi 100 anni.

Il  Dipartimento di Prevenzione gioca un ruolo importantissimo nella difesa della salute, per cui anche noi, semplici cittadini, poniamo delle domande alla dottoressa per conoscere quali misure cautelative siano state adottate a protezione dei cittadini del Veneto.  

        Considerando che i medici rappresentano la prima linea di difesa dall’azione dei PFAS, le chiediamo quale sia il motivo per cui, dal 2013 ad oggi, non sia stato effettuato alcun corso di formazione e aggiornamento né siano state pubblicate linee guida?

Non le sembra grave che  tuttora i sanitari siano informati solo in
maniera approssimativa
e non sono in grado, né hanno la concreta possibilità, di assumere iniziative efficaci nei confronti di pazienti affetti da patologie correlate alla contaminazione o esposti dal punto di vista ambientale?

Le chiediamo per quale motivo non sono stati effettuati corsi di formazione e aggiornamento al personale dei consultori familiari tali da poter da fornire adeguate risposte e indicazioni alle coppie desiderose di avere un bambino, alle gravide e altro.

Le chiediamo ancora, come possono effettuare i medici misure di prevenzione se non sono autorizzati a prescrivere esami per accertare la presenza o meno di PFAS nel sangue dei loro pazienti?

 

Strano comportamento da parte di una struttura che si chiama “Dipartimento di prevenzione”

Il dipartimento che lei dirige, in contrapposizione a tutta la pubblicistica scientifica internazionale e italiana, sostiene da tempo la tesi secondo cui l’ambiente (leggi Pfas) di per sé raramente è causa di patologie ma può essere “fattore di rischio” coadiuvante.       

A parte il fatto che non si possono definire i PFAS “fattori di rischio”, alla stregua del fumo di sigaretta,  obesità ecc., oggi la scienza internazionale considera l’ambiente il primo fattore patogeno per tantissime patologie.

Il 21 marzo 2021, presieduto dal prof. Carlo Foresta, si è tenuto



all’Università di Padova un importantissimo convegno che ha fatto il punto della situazione.

In tale occasione, gli intervenuti hanno dimostrato come i Perfluorati possono essere agenti patogeni autonomi per molte malattie a prescindere dalle eventuali abitudini di vita errate,  individuando nella loro natura di interferenti endocrini il meccanismo patogenetico.

 

 

Ciò detto, è necessario approntare , subito e non tra 20 anni, misure efficaci di prevenzione specifiche che contrastino l’azione dei PFAS nei nostri organismi.

        La Prevenzione Primaria, come lei ci insegna, consiste nell’evitare che i PFAS entrino nei nostri corpi.

Come si sa, i perfluorati penetrano negli organismi viventi attraverso gli alimenti, l’acqua e la respirazione.

Le chiediamo quali misure sono state approntate dal dipartimento che lei


dirige, per garantire che gli alimenti che si acquistano nei supermercati non siano contaminati da PFAS.

   Essendo lei  preposta d’ufficio a garantire la sicurezza alimentare, le chiediamo quali disposizioni siano state impartite ai veterinari al fine di escludere dal mercato eventuali derrate alimentari fortemente contaminate da PFAS.

La presenza di significative quantità di PFAS in alcuni prodotti agroalimentari provenienti dalla zona rossa è stata, infatti, accertata dallo stesso monitoraggio regionale.                                                                                             Quali disposizioni sono state messe in atto affinché i cittadini possano acquistare tranquillamente cibi sani?”

 

Acqua

La dottoressa Gisella Pitter, membro del suo staff, intervenendo al  convegno di cui sopra, ha dichiarato che gli acquedotti sono stati messi
prontamente in sicurezza.

        Dal 2013 gli abitanti di Arzignano e Montecchio chiedono che anche i loro acquedotti siano messi (prontamente) in sicurezza dal momento che la media di PFAS riscontrata  nell’acqua potabile è rispettivamente di circa 60 ng/litro e di 90 ng/litro.

Secondo EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) un bambino di 20 KG non potrebbe ingerire più di 13 ng di PFAS totali al giorno.                                

    Ci chiediamo :”Come potranno togliersi la sete i bambini della valle del Chiampo?”



 

        Ictus e infarto

È dimostrato che i pfas, agendo in maniera proattiva sulle piastrine, possono provocare ictus e infarto. Una ricerca epidemiologica del 2011, promossa dalla fondazione Giacometti, pubblicata dalla Regione Veneto, evidenzia che nel territorio che allora rientrava nella ULSS 5, adesso parte della zona rossa, la quantità di ictus cerebrali era doppia di quella della media regionale.

Quali misure furono adottate allora per spiegare il tragico fenomeno che riguardava una sola area territoriale della nostra regione?                            

 Furono effettuate allora particolari ricerche?


 Furono ideati progetti di prevenzione per evitare che in quell’area morissero per ictus il doppio di persone del resto del territorio regionale?                         Come è la situazione adesso in quell’area?

Alla domanda rispondono solo le tombe dei cimiteri.

 

Al convegno del 21 marzo 2021  il professor Carlo Foresta dichiarava:


“Il senso di questa tavola rotonda è quello di mettere in luce la possibilità dell’esistenza di STRATEGIE DI INERVENTO per la PREVENZIONE … soprattutto di cosa possiamo fare , alla luce di poche notizie di fisiopatologia che già possono essere utili per INTERVENIRE PRECOCEMENTE contro queste patologie.”

 

Alla luce di tale dichiarazione le poniamo un’altra domanda.


Quali misure sono state prese per evitare nei giovani l’osteoporosi

precoce, determinata dall’azione del PFOA sulla Vit. D già nella fase

embrionale?

Nello stesso convegno il prof . Andrea Di Nisio, uno degli scienziati intervenuti, si è a lungo soffermato sulle cause e sulle possibili azioni di prevenzione secondarie e terapie da attuare nella primissima infanzia, oltre che ovviamente in gravidanza.


Il Dipartimento che lei dirige ha fatto tesoro di tali ricerche?  

Quante ragazze dovranno scontare ancora il dramma delle ossa fragili come il vetro?

Il dott. Andrea Caroso, intervenendo sulla poliabortività e sull’azione al dei PFAS sul progesterone, ha indicato possibili vie di prevenzione e terapia per garantire gravidanze serene alle donne del Veneto.   


 Il Dipartimento ha preso nota dei suggerimenti scaturiti dal convegno?

Qui non stiamo parlando solo delle donne, delle ragazze, dei bambini e degli uomini che vivono nella zona rossa. 


L’ISS ( Istituto Superiore di Sanità) un anno fa dichiarò che nel Veneto i bambini presentano nel sangue una dose doppia di PFAS rispetto a quelli del resto del paese.

 


Potremmo continuare di questo passo, elencando i danni, non curati, provocati dalla riduzione del testosterone nei ragazzi contaminati, le malformazioni genitali, la ipofertilità dei ragazzi e delle ragazze, i danni alla tiroide, fino ad arrivare all’aumento dei casi di mortalità per diabete e per covid 19, che lei ha menzionato nell'interrogatorio.

 

Sono conseguenze della contaminazione da PFAS che lei, dott.ssa Russo, conosce benissimo, considerato che fanno parte di un patrimonio culturale scientifico internazionale.

 A fronte di tanto male, oltre che registrare, anno dopo anno, gli effetti dei pfas sui malcapitati della zona rossa (e solo su quelli) con il tanto sbandierato monitoraggio sulla popolazione, oltre a raccomandare di non fumare, di non condurre una vita sedentaria, di non mangiare grassi, di non bere alcoolici, tutte prescrizioni  giustissime che comunque i medici consigliano da sempre a prescindere dal suddetto monitoraggio, le è mai passato per la mente che forse bisognerebbe combattere e prevenire la vera causa di tante patologie?

Che l’accertamento della presenza di PFAS nel sangue dei soggetti a rischio è il primo passo attraverso il quale passano tutte le misure di prevenzione e cura perché l’elemento patogeno che contraddistingue  queste malattie, come ampiamente dimostrato nel convegno del 21 marzo 2021 sono i PFAS?

 Ci auguriamo che, dopo la sua performance in tribunale, si degni di rispondere, nei FATTI, a queste modeste domande di cittadini qualunque che le chiedono ancora una volta:

 “Perché il dipartimento che lei dirige si chiama di PREVENZIONE?”

 Le informazioni scientifiche, contenute in questo post in maniera divulgativa, sono tratte dalla registrazione del  convegno di Padova del 21 03 2021 di cui mettiamo a disposizione il link

Giovanni Fazio

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