COMUNICATO STAMPA ISDE Veneto 1/2018 Plasmaferesi e PFAS in Veneto – La posizione di ISDE Veneto
l'ASSOCIAZIONE ISDE VENETO (MEDICI PER L'AMBIENTE)
CRITICA L'INIZIATIVA REGIONALE DI PRATICARE LA PLASMAFERESI A CITTADINI CON VALORI ALTI DI PFAS NEL SANGUE.
La sospensione dell’esecuzione della
plasmaferesi e dello scambio plasmatico nei soggetti con elevate concentrazioni
di PFAS, decisa dalla Regione Veneto in seguito alle dichiarazioni del Ministro
della Salute e di autorevoli ricercatori dell’ Istituto Superiore di
Sanità, impone delle riflessioni sull’ appropriatezza
dei provvedimenti attuati dalle Istituzioni Regionali e
Nazionali per fronteggiare l’ inquinamento da PFAS che ha colpito principalmente
un ampio territorio delle province di VI, PD e VR. Nel mese di luglio scorso la
Regione Veneto aveva inviato all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il
protocollo sulla plasmaferesi e lo scambio plasmatico applicati alla rimozione
dei PFAS dal sangue dei soggetti contaminati.
Il protocollo, a
differenza di altri importanti provvedimenti atti a mitigare gli effetti del
disastro ambientale, non è stato mai concordato con l’ISS. Nonostante ciò si è
ritenuto di procedere ugualmente, senza attendere il parere dell’ISS che non
risulta, tra l’altro, sia stato specificamente sollecitato nonostante il
ritardo delle Istituzioni romane nel pronunciarsi. L’intenzione evidentemente,
era di abbattere drasticamente le concentrazioni di PFAS nel sangue umano e, in
definitiva, di ridurne la tossicità. Questa convinzione per noi Medici ISDE,
non è sufficientemente suffragata da riscontri scientifici e presenta diverse
criticità.
1)
Non esistono livelli ematici di PFAS che possono
ritenersi “sicuri” per la salute umana. Gli effetti
tossici dei PFAS sono determinati dal loro accumulo nell’organismo umano negli
anni e non tanto dalla loro puntuale concentrazione ematica.
Altrettanto arbitrari sono i livelli di PFOA scelti per avviare i soggetti
contaminati all’aferesi (100 ng/ml di sangue nei bambini e 150 ng/ml negli
adulti) e di assegnare soggetti
asintomatici con più di 200 ng/ml di PFOA allo scambio plasmatico,
procedura questa molta più invasiva della plasmaferesi proposta a
soggetti altrettanto sani e asintomatici ma con livelli plasmatici di
PFAS più bassi.
2) Proporre il
trattamento plasmaferetico iniziando dai soggetti
giovani, sani ed asintomatici è criticabile sia sul piano scientifico sia
su quello etico. A nostro parere, sarebbe stato più opportuno considerare in
primo luogo i soggetti portatori di una o più patologie tumorali e di malattie
metabolico-degenerative risultate statisticamente più frequenti nelle
popolazioni contaminate dai PFAS.
3) È semanticamente e
scientificamente errato utilizzare il
termine di “aferesi terapeutica” in riferimento al “trattamento”
proposto ai giovani della zona rossa; trattandosi in definitiva di
individui sani, senza alcuna malattia in atto, asintomatici, non si comprende,
infatti, quali siano le gravi patologie che devono essere curate in modo così
invasivo e urgente.
4) L’infusione di albumina in soggetti
privi di patologia per fini sostanzialmente diversi da quelli terapeutici,
rappresenta un uso inappropriato di
un farmaco importante, di origine umana, di limitata disponibilità e, pertanto,
da usare con parsimonia e secondo le indicazioni approvate dalla farmacopea,
che non comprendono l’utilizzo di albumina come sostituto del plasma da
infondere ai soggetti contaminati da PFAS né da altri inquinanti industriali.
L’improprio utilizzo dell’albumina impone anche una riflessione etica sul
rispetto e sul significato del consenso fornito dal donatore, che compie il
nobile gesto convinto che il proprio plasma sia destinato a pazienti gravemente
malati e non a persone sane.
5) Non è stato definito con rigore scientifico l’intervallo tra le sedute
aferetiche. Il “timing” tra le sedute è importante per consentire, qualora
avvenga la dismissione (mai dimostrata finora) dei PFAS dagli organi e tessuti
nei quali si sono accumulati nel corso degli anni, ai livelli ematici di
risalire a livelli il più possibilmente vicini a quelli pretrattamento. In
questo modo, nelle sedute successive si eliminerebbe una maggiore quantità di
PFAS. Conseguentemente, si potrebbero ridurre il numero di sedute, i disagi per
i soggetti contaminati e il consumo di risorse pubbliche. Le aferesi
ravvicinate potrebbero ridurre la resa in termini di quantità di PFAS
eliminati, come suggerito dai dati recentemente presentati dalla Regione Veneto
sulle prime aferesi effettuate prima della sospensione.
6) Studi recenti indicano
in 0,1 ng/ml le concentrazioni di PFOA probabilmente non associate ad effetti
tossici a carico del sistema immunitario nell’ essere umano. E’ noto che i
residenti nella “zona rossa” hanno una
media di PFOA nel sangue circa 700 volte il livello di sicurezza e
che tali livelli sono superati
anche dalla maggioranza dei residenti fuori dalla zona rossa. E’ quindi
certa una contaminazione di “fondo” che richiede altri contestuali drastici
provvedimenti a protezione della salute
pubblica dei cittadini veneti anche al di fuori della zona rossa.
7) Non è dimostrato che l’aferesi apporti significativi benefici
rispetto ad altri provvedimenti di sanità pubblica, come la fornitura alla
popolazione esposta di acqua potabile e di alimenti privi di PFAS. Con tali
opportuni provvedimenti, in un periodo di soli sei mesi le concentrazioni di
PFAS si sono ridotte “spontaneamente” del 31% rispetto ai valori iniziali,
mentre dopo quattro sedute di plasmaferesi in due mesi la riduzione
si è fermata al 35% del valore basale.
Quindi, se da un lato auspichiamo che si
continui nell’opera di mitigazione del rischio attuando immediatamente anche
tutti gli altri provvedimenti atti a tutelare la salute pubblica, quali la
sospensione delle autorizzazioni a spargere fanghi contenenti PFAS sui terreni
agricoli e la ricerca di fonti di approvvigionamento alternative, dall’altro
invitiamo a riflettere sulla reale utilità di procedere a tecniche di “pulizia
del sangue” in soggetti giovani, sani con meccanismi di eliminazione
fisiologici dei PFAS attraverso le urine perfettamente funzionanti.
Pertanto come ISDE riteniamo che sia necessario disegnare uno studio
sperimentale concordato con l’ Istituto Superiore di Sanità e le principali
società scientifiche di medicina trasfusionale e di aferesi.
Nel protocollo siano definite a priori modalità,
procedure, gestione, monitoraggio dei risultati della plasmaferesi e
dello scambio plasmatico quale strumento di riduzione delle
concentrazioni plasmatiche dei PFAS nonché i livelli plasmatici che si
intendono raggiungere al termine del ciclo di sedute.
È indispensabile che lo studio sia approvato dai
Comitati Etici Provinciali per la sperimentazione clinica delle aree interessate
dall’ inquinamento da PFAS.
Solo in questo modo si potranno fornire
valide risposte ai tanti dubbi espressi dalla comunità scientifica,
soddisfare le aspettative della popolazione il cui interesse principale è
di vedersi tutelata la propria salute.
ISDE Veneto si rende disponibile, come sempre,
a collaborare con le istituzioni nella gestione del disastro ambientale
causato dai PFAS.
Per
ISDE Veneto
Il Presidente
Vincenzo
Cordiano
Vicenza, 03/01/2018
Per contatti: isdeveneto@gmail.com
Per Informazioni:
Associazione Medici per l'Ambiente
-ISDE Italia
Via XXV Aprile, 34-52100 Arezzo
Tel: 0575-23612 -e-mail: isde@isde.it
Web: www.isde.t
Parole chiave: plasmaferesi, composti
perfluoroalchilici, PFAS, PFOA, ISDE Veneto, studi clinici, appropriatezza,
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