VICENZA TODAY «LA CONCIA NON SI SALVA COL ROGO DEI SUOI VELENI”
Intervista di Marco Milioni
Giovanni Fazio parla
dell'impianto per il trattamento
dei fanghi che le imprese
vorrebbero realizzare
nell'Ovest vicentino e denuncia
«il partito trasversale
dell'inceneritore» che potrebbe
Di recente la rete ambientalista del Veneto centrale ha preso posizione contro
l'impianto dei fanghi conciari che alcuni esponenti del mondo dell'impresa vorrebbero realizzare nel distretto
Agno-Chiampo.
Cillsa, una associazione ecologista dell'Ovest vicentino da anni attiva sul campo, «non ha però aderito» a quell'appello.
Cillsa, una associazione ecologista dell'Ovest vicentino da anni attiva sul campo, «non ha però aderito» a quell'appello.
«Quando abbiamo appreso della iniziativa, un po' in
ritardo per
vero, ci siamo subito mobilitati» sottolinea Giovanni Fazio medico arzignanese
e volto storico di Cillsa.
Il
quale per di più fa sapere che «la nostra adesione all'appello non si limitava
solo a sostenere la causa di chi si oppone
alla costruzione di un
inceneritore in loco, cioè nel bacino del Chiampo».
Il motivo? «Il nostro gruppo - spiega il
medico - come tutti ben sanno combatte da anni
con discreto successo
questa richiesta dei conciari, ma non si limita all'aspetto locale in quanto
la salute è un diritto
di tutti.
Riteniamo, infatti, che i fanghi
derivati dalla attività conciaria non
debbano essere bruciati in nessun posto, né in Italia né all'estero».
La
posizione di Cillsa
peraltro è nota dal 2012 e la recente querelle
sull'impianto per il trattamento dei fanghi non ha
spostato il punto di vista del gruppo
ecologista, una posizione che nel distretto
è spesso oggetto
di diatribe e discussioni.
Dunque Fazio, ci sono parecchi
settori del mondo della concia
che ritengono le vostre posizioni
non sostenibili perché alla fine non compatibili de facto con la
presenza della industria conciaria. Voi come replicate?
«Quelle che non sono sostenibili non sono le nostre preoccupazioni per i gravi
danni che potrebbero essere arrecati a decine di migliaia
di persone a causa di un progetto
altamente inquinante, bensì le aziende
conciarie, come sono state realizzate nel corso degli anni».
Che
significa esattamente?
«Il
distretto conciario è troppo grande.
E il depuratore di Arzignano, di cui si sono celebrati da poco i quarant'anni anni, non è assolutamente in grado di depurare le acque di scarico industriale e nemmeno di produrre fanghi
trattabili, perché questi
sono eccessivamente inquinanti».
È possibile
dare qualche indicazione al riguardo?
«Anzitutto
ricordo l'enorme presenza di cromo trivalente che, come tutti sanno, non può
essere bruciato ad alta temperatura poiché si
trasformerebbe in cromo esavalente, notoriamente cancerogeno. Se invece si volessero bruciare
i fanghi a bassa temperatura sorgerebbe il problema delle diossine, temibilissime anche queste».
E poi?
«Non
aggiungo tutti gli altri prodotti
inquinanti, altamente tossici,
di cui sono i ricchi
i fanghi di risulta. Inoltre
non posso fare a meno di ricordare la gran quantità di
Pfas, presenti già nella falde da cui si attinge l'acqua per il distretto
industriale, ma anche nei prodotti usati per la concia: nel 2017 sono state
vendute nel Veneto 103 tonnellate di
prodotti per uso industriale contenenti Pfas, i temibili derivati del fluoro, e la maggior
parte di questi
sono usati nel distretto conciario. E mi fermo qui».
A questo punto il problema come
andrebbe affrontato secondo voi?
«Il
fatto è che chi si pone il problema dei fanghi parte dalla coda del processo
e non dalla testa. Si dovrebbe cominciare dalla cosiddetta
riviera, separando i fanghi derivati
dal pelo e dal carniccio
da quelli della concia vera e propria,
recuperando già circa il 40% del volume in maniera da renderli trattabili
attraverso una serie di tecniche già a disposizione».
Ne siete davvero sicuri?
«Sì:
certamente è un processo più costoso. Tuttavia è possibile».
Partendo dalla sua considerazione si potrebbe allora evitare la presenza di Pfas filtrando
l'acqua in entrata
e evitando di usare
composti contenenti fluoro, come già stanno facendo grandi aziende che hanno
accettato il progetto Detox di cui parla Greenpeace? Si tratta di una pratica
realizzabile o è solo una astrazione?
«Certo che si può. E mutatis
mutandis lo stesso
vale per tutti i prodotti
che potrebbero essere
riciclati. Il che abbasserebbe di molto il gravame complessivo dei reflui.
Motivo per cui non ci sarebbe assolutamente bisogno di grandi
opere per smaltirli».
E quindi?
«E quindi
il futuro delle concerie, se ci sarà, è solo nella revisione di tutta la
filiera e non nel rogo dei veleni».
Che messaggio lanciate all'industria?
«Certamente non spetta a me insegnare ai conciari il loro mestiere. So di che alcuni di loro fanno
ricerca per produrre
prodotti migliori sotto il profilo ambientale. Dico solo che la tecnica
della raccolta differenziata, del riciclo e dell'esclusione di alcuni materiali è la base di un processo virtuoso, l'unico che
potrebbe garantire un futuro degno di questo nome alle concerie e ai cinquemila
lavoratori che vi operano. Pertanto la sopravvivenza delle fabbriche è
esclusivamente nelle mani dei conciari, nella loro disponibilità di adeguarsi
ai tempi e al rispetto dell'ambiente e della vita umana».
In passato in seno alla vostra rete si è parlato di un modello
toscano della concia
che sarebbe più ecosostenibile. Però le cronache di recente parlano di inchieste
portate avanti dalle autorità proprio per uno sversamento illecito di residui
della concia. Come stanno le cose allora?
«Da
diversi anni alcune
industrie del cuoio toscane propongono ricerca e percorsi
per giungere all'eliminazione totale dei rifiuti.
Esiste all'interno dell'industria conciaria chi sostiene la tesi nota come rifiuti
zero. Parlo di ciò citando
il testo della
locandina di un convegno,
tenutosi a Marghera nell'ambito dell'Expo del
2015».
Che cosa venne riferito in quel contesto?
«Cito testualmente: la circular
economy propone un modello strategico che mira, attraverso un'attenta
progettazione di prodotti e processi, a preservare il valore dei prodotti il
più a lungo possibile, eliminando il concetto di rifiuto. Ecco questa locandina
è stata inviata dalla Associazione italiana chimici del cuoio insieme
all'associazione Fare in rete ai propri iscritti».
Detto questo?
«Detto questo io non ho mai avuto
occasione di recarmi a Santa Croce nel distretto conciario pisano perciò non
sono in grado di giudicare se i messaggi che ci giungono da quell'area siano
propaganda o corrispondano realmente ad un nuovo percorso di una parte
dell'industria conciaria. So che in loco c'è un inceneritore per cui ritengo
che nei giudizi si debba andare con i piedi di piombo. Per cui, mi si passi il sarcasmo, lascio ad altri il tifo per il derby Arzignano-Santa Croce: è evidente
che quelle volte che ho commentato esempi di
iniziative avanzate nella
concia toscana per spronare gli arzignanesi ad imitarli non mi riferivo
certo ai criminali che spargono fanghi di conceria sui campi,
solo un idiota
potrebbe pensarlo. Del resto questa
prerogativa non è solo di alcuni criminali
toscani: anche da noi,
parlando in generale del mondo imprenditoriale, ci sono stati episodi simili e
collusioni gravissime con le mafie. In una occasione c'è stato perfino il
ritrovamento di un maxi carico di cocaina nel cortile di una nota conceria
locale, mentre la vicenda è ancora avvolta nel mistero più assoluto. Non per questo
mi sognerei di dire che tutti i conciari di Arzignano sono mafiosi e spacciatori».
Quando si parla di impianto per il trattamento dei fanghi in realtà si
parla di un qualcosa il cui iter è appena agli inizi, basti pensare che la
procedura in capo a Acque del Chiampo identifica un ambito concettuale più che
un progetto vero e proprio tanto che ad essere sinceri ancora non si sa che
cosa sarà veramente questo impianto che molti chiamano inceneritore o altri
termo-valorizzatore, al netto di tutti gli artifici
semantici. Secondo lei perché Acque del Chiampo
ha deciso di muoversi a passi
così piccoli?
«Bisognerebbe essere nella mente
di Andrea Pellizzari, ex amministratore delegato
di Acque del Chiampo. Il quale di recente è stato
defenestrato dalla giunta comunale arzignanese che è a trazione leghista».
Ma qualche idea voi ve la siete
fatta?
«Pare che siano in dirittura d'arrivo
un accordo con la municipalizzata di Vicenza, l'Aim, per realizzare a Marghera
il cosiddetto trattamento fanghi. Stando ad altre letture, ma non è detto che
una cosa escluda l'altra, questo trattamento potrebbe avvalersi
dell'inceneritore di Fusina, che in Laguna potrebbe bruciare 50mila tonnellate
di fanghi conciari all'anno. Ed è in qualche modo strano strano che a opporsi
a questa ipotesi,
che chiaramente agli ecologisti veneziani non sta bene,
e a pretendere la costruzione d'un impianto
all'interno del distretto arzignanese, siano due persone di peso nel mondo
della concia che però hanno venduto le proprie concerie agli americani».
Parla di Luca Pretto e Rino
Mastrotto?
«Sì.
Ecco, mettendomi nelle scarpe di chi vuole smaltire incenerendo non mi è chiaro come mai Pretto
e Mastrotto si impuntino per realizzare per forza in loco un eventuale impianto.
C'è qualcosa che sfugge e che deve essere portato
alla luce del sole. E ancor più strana è la foga con cui Stefano
Fracasso, il capogruppo del Pd alla Regione Veneto,
sostiene Mastrotto, che culturalmente gli è parecchio distante».
A Venezia si parla
insistentemente di qualcuno
che miri al business degli
incentivi green. Di somme che tramite la Regione
potrebbero arrivare dallo Stato o dalla Ue. Ne avete mai sentito parlare?
«Diciamo che alcuni sospettano una
speculazione sui certificati elettrici, cioè finanziamenti che tuttora lo stato
elargisce agli inceneritori. E poi c'è nebbia fitta, lo ribadisco ancora una
volta, persino sul nome che si vuole usare per un impianto del genere».
Sarebbe a dire?
«In
passato si parlò
di gassificatore. Opzione
che fu già scartata dall'ex
sibdaco arzignanese Giovanni
Gentilin dopo che una analisi
su un gassificatore cugino in Norvegia nel 2013 fece tremare i polsi
all'Arpav che la realizzò. Aggiungo che la tecnica di gassificazione tramite
pirolisi non è stata mai usata per una così grande mole di rifiuti conciari. E
questa colossale alea di incertezza è stato uno dei fattori che ha fatto
naufragare una soluzione alla norvegese».
Non mancano coloro che usano il termine
termovalorizzatore dando ad intendere che possa essere
qualcosa di diverso
da un inceneritore. Lei che dice?
«Il
termine termovalorizzatore viene furbescamente usato da coloro che non osano pronunciare la parola inceneritore ormai discreditata e
pericolosa sul piano del consenso politico. Questi trucchetti semantici però
noi li smascheriamo subito».
Come starebbero allora le cose?
«In
realtà non c'è nessuna fonte termica da valorizzare in quanto il contenuto calorico
dei fanghi è molto basso e forse,
a stento, si recupererebbe il valore del gas usato
per bruciarli».
E allora?
«Che vuole che le dica. Mala tempora
currunt. A pochi mesi dalle elezioni stiamo vivendo un momento poco chiaro. Sia
nel Vicentino che a Marghera stiamo assistendo ad una lotta intestina tra
fazioni di governo regionale, locale e strane alleanze col Pd di Fracasso. Ci
sono pezzi del centrodestra che sono favorevoli e altri che sembrano remare
contro. C'è un pezzo del Pd regionale
vicino a Fracasso
che rema a favore dell'impianto su posizioni assimilabili a porzioni
della maggioranza. Pare che sotto il pelo dell'acqua prenda corpo il partito
trasversale dell'inceneritore, mentre la lobby quella c'è già. Ma c'è un ma».
Quale?
«La grande manifestazione di sabato 13 giugno scorso alle
Zattere di Venezia costituisce un
monito serio. Un monito in forza del quale si avvertono lorsignori che la scelta di
bruciare i rifiuti non sarà indolore per chi così malamente gestisce l'area
lagunare e la regione».
Ma a questo punto un confronto aperto
col mondo della concia ci dovrebbe essere?
«Sicuramente sarebbe molto positivo.
E noi francamente lo auspichiamo, insieme alla gran parte dei cittadini della vallata. Tuttavia
ci sembra estremamente improbabile che una realtà così composita come è
quella del mondo conciario sia disposta a mettere a nudo i propri progetti
e a confrontarsi seriamente con la popolazione in merito alla costruzione di un inceneritore».
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